Da “Notte Criminale” – Grande Raccordo Criminale, il potere mafioso nella capitale

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da NOTTE CRIMINALE

“La mafia ha i piedi in Sicilia, ma la testa forse è a Roma”. In fondo non aveva poi così torto Don Luigi Sturzo in questa sua affermazione. La mafia nell’hinterland capitolino non è solo un problema attuale, ma remoto. L’appetito delle mafie si è ora concentrato principalmente sugli investimenti economici, sugli appalti, sulle costruzioni.

“Grande Raccordo Criminale”, il libro scritto da due giornalisti, Pietro Orsatti e Floriana Bulfon, è una chiara rappresentazione di come Roma, già tempo, sia stata scelta dalle organizzazioni criminali come base per la cosiddetta “pax mafiosa”. Le colonie di Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta hanno raggiunto un loro equilibrio per la spartizione di territori, per il reinvestimento di capitali accumulati illecitamente. Il mafioso d’oggi è colui che fa affari con tutti.

Il libro è stato presentato lo scorso sabato al Campus di Roma, University of Washington Rome Center. Insieme ad altri ospiti: Gaetano Pascale, ex Sostituto Commissario della Squadra Mobile della Questura di Roma e direttore del Dipartimento di criminologia della Swiss School of Management; Piero Fierro, ex assistente della Polizia di Stato; Davide Barillari, Consigliere del Movimento cinque Stelle della Regione Lazio; Luca Teolato, giornalista del Fatto Quotidiano e Gianni Ciotti, Presidente del Sindacato Sed. Anche noi di Notte Criminale eravamo presenti all’incontro.

“Un libro che nasce – racconta Floriana Bulfon – da una serie di fatti di sangue accaduti nella Capitale. Omicidi, gambizzazioni. Troppi morti e nessuno si è preso la briga di collegare questi fatti criminosi. Come si può parlare di giro di soldi, di regolamenti di conti, di corruzione, solo come casi isolati?”. Tutte le inchieste sulle connivenze tra potere politico e criminalità organizzata erano legate da un comune denominatore. “C’è una holding criminale che opera a Roma, noi l’abbiamo definita associazione temporanea di impresa. Ma c’è chi ha dichiarato che a Roma la mafia non c’è. E per molti anni ha continuato a regnare l’indifferenza”.

“Altre presenze di mafiosi risalgono al 1954. Il primo grande traffico internazionale extra di stupefacenti viene fatto da Tommaso Buscetta nel ’54. C’erano degli appuntamenti e degli incontri in un grande albergo romano”, ha detto Pietro Orsatti nel corso del convegno. Vi sono altri elementi che evidenziano la presenza della mafia a Roma. “Pensiamo agli anni delle stragi. In particolare all’attentato in via Fauro (fallito, ndr), a Maurizio Costanzo. Un attentato che svanisce per un ritardo dovuto ad una lite scaturita su chi dovesse far esplodere l’ordigno”. Un ulteriore dettaglio narrato da Orsatti: “A Firenze, nelle dichiarazioni di Spatuzza e di altri collaboratori di giustizia emerge questo: la macchina che avrebbero dovuto utilizzare per la bomba di via Fauro, è stata prelevata a Tor Bella Monaca. Un particolare da non sottovalutare. Tor Bella Monaca all’epoca era in mano ai De Stefano, ovvero la ‘Ndrangheta. E l’attentato a Costanzo viene pianificato lì, in un garage. L’esplosivo arriva lì. E lo porta non un soldatino qualsiasi, ma Matteo Messina Denaro. Segnale che anche in quel caso vi era una collaborazione attiva delle mafie”.

“Ci sono processi – prosegue Orsatti – in cui si sapeva chi avesse ucciso, ma non si potevano trovare i colpevoli. Recentemente ho intervistato la moglie di Mattarella e lei mi ha ribadito questo fatto: la signora riconosce chi uccide suo marito. Immediatamente. Ed è la stessa persona ritenuta colpevole della strage di Bologna. Che cosa significa mandare Fioravanti a uccidere il Presidente della Regione Siciliana? Per conto di chi? “Ma queste dichiarazioni della moglie di Mattarella vengono ribaltate successivamente e il riconoscimento, le prove che pongono Fioravanti sul luogo dell’omicidio di Mattarella, senza parlare delle munizioni che sono le stesse che uccidono Pecorelli, e che si trovavano in un deposito condiviso dalla Banda della Magliana e Nar, vengono messe alla pari di altre dichiarazioni di pentiti che in quel momento si trovano in galera e che dicono – per sentito dire – che è stata solo Cosa Nostra”.

Misteri, depistaggi, complicità. Una inchiesta giornalistica, minuziosa e certosina, quella di Orsatti e Bulfon, che ha permesso di comprendere nel profondo la penetrazione mafiosa a Roma. Una organizzazione presente da almeno trentanni. Quello che sta accadendo oggi ha radici primitive. Lo sbaglio finora commesso è stato quello di sottovalutare questo fenomeno e di aver considerato la Capitale al pari delle altre. Roma è l’intreccio, è il luogo di incontro, di accordi, tra la finanza, la politica e la Curia. I collegamenti sul territorio sono palpabili, tangibili e spaziano dagli appalti per la metro C, alle concessioni balneari, a quelli per il porto di Ostia, un boccone di circa un centinaio di milioni di euro spesi. Il porto divenuto una porta di accesso per la droga e per le armi. La cocaina proveniente dalla Colombia, dal Venezuela, passa anche da Ostia. Diretta al Porto di Gioia Tauro. E non solo.

Per anni è stata negata la presenza della mafia a Roma. Qualcuno l’ha contestata, l’ha taciuta, l’ha ridimensionata. Qualcuno si è limitato a parlare di tentativi di infiltrazioni. Qualcuno era vicino alla verità, ma è stato messo da parte. Come è accaduto per due detective: Piero Fierro, agente della Polaria e Gaetano Pascale, investigatore della Narcotici alla Mobile. Entrambi avevano scoperto la cupola mafiosa ad Ostia, il traffico della droga e delle armi, l’impero economico dei Triassi e dei Fasciani, famiglia legata al clan mafioso dei Cuntrera- Caruana, la cosca che, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 fu attiva nel narcotraffico con il Nord e Sud America. I Rothschild della Mafia. Fierro e Pascale, avevano in mano la verità. Ma qualcuno ha schiacciato la loro carriera.

Come è successo a Roberto Mancini, deceduto lo scorso 30 Aprile. Roberto, il poliziotto che ha sacrificato la sua vita per indagare sui rifiuti tossici tra la Campania e il Lazio, sulle discariche abusive sparse in vari territori italiani. Quella che oggi chiamiamo Terra dei Fuochi, quelle discariche in mano al clan dei Casalesi. Territori che ammalano, che inquinano. E Roberto Mancini, il poliziotto anticamorra, si è ammalato di cancro, del linfoma Hodgkin – come stabiliscono i medici -. Un tumore causato dalla contaminazione con sostanze radioattive. Poco prima di morire, Roberto, aveva chiesto un riconoscimento economico alla Camera dei Deputati, ma la risposta è stata negativa. Roberto Mancini ha lasciato una moglie e una figlia. Anche loro presenti all’incontro. La Swiss School Management è stata lieta di concedere un riconoscimento onorifico alla vedova Mancini. Un riconoscimento, il “Leadership Award”, anche al Consigliere del Movimento a Cinque Stelle, Davide Barillari, per la sua costante attività di repressione contro la mafia sul litorale.